[A maggio inizierà il nuovo laboratorio dedicato alla dimensione sonora del paesaggio e alle sue potenzialità narrative. Il laboratorio è stato progettato e sarà condotto da Fiammetta Palpati, e da Manuel Cecchinato che in questo articolo ci introduce nel tema. f.p.]
Se pensiamo al fatto che viviamo da sempre dentro un luogo, dentro quello che abbiamo immaginato come paesaggio, come paese delle nostre vedute, come ambiente della nostra vita, non possiamo evitare di pensare che questo ambiente abbia una sua vita. Si tratta di una vita acustico-spaziale.
Vogliamo definirlo come “paesaggio sonoro”. Ma cosa è un paesaggio sonoro? Da una parte possiamo dire che corrisponde al concetto elaborato da Raymond Murray Schafer, compositore e musicologo canadese, negli anni ’70: si tratta di quello che chiamiamo “soundscape”, coniato ad hoc come calco di landscape, appunto “paesaggio sonoro”. Dall’altra parte possiamo dire con Henri-Frédéric Amiel che «un paesaggio qualsiasi è uno stato dell’anima, e chi legge nell’uno e nell’altra è meravigliato di trovare la similitudine di ogni particolare» (Diario intimo, 31.10.1852).
Ecco che una visione resta impigliata dentro un ascolto, o viceversa. Leggiamo in proposito cosa scrive M. Schafer:
L’ambiente che mi circonda mentre sto scrivendo è un paesaggio sonoro. Attraverso la finestra aperta posso sentire lo stormire delle foglie dei pioppi al vento. E giugno, le uova si sono schiuse, e l’aria è piena del canto degli uccellini. All’interno, il frigorifero si avvia di colpo con il suo mugolare stridulo. Io respiro profondamente, poi continuo a fumare la pipa, che alle mie boccate scoppietta sommessamente. La penna scorre agilmente sul foglio bianco, scricchiolando a tratti, e facendo click! quando aggiungo un punto a una i o al termine di una frase. Questo è il paesaggio sonoro di un placido pomeriggio nella mia casa di campagna. Provate a confrontarlo con il vostro paesaggio sonoro mentre state leggendo questi appunti. I paesaggi sonori del mondo sono incredibilmente vari, in diversi luoghi e in diverse culture, e cambiano con il passare dei giorni e il mutare delle stagioni.
Questa descrizione evoca delle sonorità e lo fa come scrittura. Ma come è che la scrittura evoca un paesaggio? E questo paesaggio può ri-suonare (una seconda volta) nella pagina scritta?
L’orizzonte visivo del mondo si sposta con noi: dipende dal nostro sguardo.
La costellazione degli eventi sonori di un paesaggio invece cattura il nostro orecchio, il quale può solo esercitare su di loro il proprio potere di riconoscimento acustico affidato all’udito, prima, e all’ascolto attivo poi. Mentre la visibilità è, o sembra, più attiva, per così dire, l’ascolto risente di una maggiore passività (ma non sempre) in modo inevitabile: mentre possiamo chiudere gli occhi per non vedere, non possiamo chiudere le orecchie e, a maggior ragione, fermare la vibrazione dei timpani per non ascoltare.
L’orizzonte degli eventi del mondo fa capo alla visibilità del mondo e alla capacità che abbiamo di ri-immaginarlo nelle possibilità che abbiamo acquisito, e di cui siamo capaci, di pensarlo per immagini e per concetti. La costellazione degli eventi sonori invece sembra possederci senza che noi si sappia coscientemente sempre il come e il perché.
Per ascoltare un paesaggio dobbiamo anche ascoltare il nostro ascolto.
Per leggere un testo dobbiamo immaginare e rivedere la nostra lettura.
Esiste una relazione tra un paesaggio e la eco del suo corrispondete come luogo? Esiste tra noi e quel luogo un genius loci che sta in mezzo tra la lettura e i luoghi che evoca? Anche se i luoghi sono puramente immaginari il genio trasporta qualcosa, è messaggero di qualcosa. Il suono può essere il messaggio, pur evanescente e, quindi, evocato dalla scrittura. Quando in letteratura stiamo osservando, per così dire, un paesaggio riusciamo anche ad ascoltarlo? E con quali orecchie? Cosa ospita del paesaggio evocato la pagina scritta? Forse un orizzonte di echi compositi che noi ri-componiamo come soggetti, con la nostra immaginazione grazie al lavoro del narratore.
Perché dovremmo prestare attenzione ad un paesaggio acustico, o ricordarlo in modo anche non consueto e distratto dalla realtà effettiva? Perché un paesaggio suona? Di quali suoni è composto? Ci sono suoni, segnali, “rumori” più o meno leggibili: e noi sappiamo prestare loro una nostra lettura? Possiamo pensare che fare attenzione ad un paesaggio sonoro voglia dire calarci meglio nella realtà di un luogo-spazio? Possiamo pensare che questo gesto sia vitale per una civiltà che ha confinato l’ascolto dentro la visibilità, per cui ciò che “vedo” è, quanto meno, reale mentre ciò che ascolto non so cosa sia? È vero che l’ascolto si presta alla sua stessa ineffabile caducità e transitorietà, ma è proprio questa che dà la misura degli spazi fisici che lo ospitano, e in cui risuona. Praticare l’ascolto significa, in questo caso, definire uno spazio che è fatto, spesso a nostra insaputa, di relazioni tra segnali, suoni, rumori.
Questo corso si propone di rispondere ad alcune di queste domande e di provocarne altre. Si tratta di definire cosa è l’ascolto, come si produca un certo ascolto nei luoghi geografici che ci ospitano e come poi questi possano essere ridisegnati dentro una partitura-pagina scritta. Citeremo alcuni esempi legati alla musica, alla psicoacustica, all’acustica stessa, alla letteratura e al cinema.
Il cinema, in molti casi appare, non certo a discapito della dimensione letteraria ma in dipendenza da esso, come una sorta di luogo capace di privilegiare in modo “realistico” cosa sia un paesaggio sonoro e la sua funzione in relazione alla narrazione.
Nel film Ran di Akira Kurosawa, la prima mezz’ora è caratterizzata da una sorta di tessitura sonoro-ambientale che colma l’immagine del suono delle cicale: i personaggi parlano da una collina, in mezzo al verde di campi senza alberi le cicale col loro frinire tengono fermo l’ascolto e danno forma ad un sottofondo acustico davvero drammatico che prefigura gli eventi futuri. Perché?
Nel film L’eclisse di Michelangelo Antonioni possiamo collezionare, acusticamente, una serie di eventi sonori legati ai segnali del paesaggio che ospita i personaggi, domestico ed urbano-sociale, che danno il segno del cammino che il film percorre nello spazio dell’immagine cinematografica. Questa dinamica arriva al finale quando il paesaggio stesso prende il sopravvento e, tra la colonna sonora e la colonna rumori (ambientali), sostituisce l’umano narrato e racconta qualcosa esso stesso. Che cosa? E perché?
La diegesi che il suono ambientale espone è leggibile? E in che modo? E a cosa può essere utile dal punto di vista della narrazione letteraria?
Durante il corso cercheremo di analizzare assieme il nostro riconoscibile, o ancora sconosciuto, paesaggio acustico-ambientale, per capire se esso ci parla, se ci racconta qualcosa anche quando noi non lo ascoltiamo, di fatto, a livello cosciente.
Vedremo che è possibile legare e trovare legami forti tra la letteratura e la “diegesi” del paesaggio: cosa ci racconta un paesaggio al di là della visione? Il paesaggio risuona attraverso noi facendoci vibrare come diapason, parla attraverso di noi. Le increspature, le onde, i segnali del sonoro ambientale sono parte del nostro corpo? Il nostro orecchio è intonato secondo la loro vita propria?