Accostamento a Celati

Accostamento a Celati

di Stefania Pietroforte

[Stefania Pietroforte è una studiosa di filosofia italiana del Novecento. È legata al magistero di Gennaro Sasso Ha pubblicato alcuni volumi e numerosi articoli su diverse riviste filosofiche. Ha dato vita, insieme ad altri, alla rivista “Filosofia italiana”, che contribuisce a redigere da oltre quindici anni. Di recente ha sviluppato interesse per la scrittura letteraria e, per sua istruzione, ha partecipato ad alcuni corsi della Bottega di narrazione con Giulio Mozzi e Fiammetta Palpati. In questo breve scritto c’è il suo incontro con l’opera e la figura di Gianni Celati, verso le quali i nostri laboratori sul paesaggio sono debitori. Spesso, quando ci ritroviamo di persona o in un’aula virtuale, abbiamo sul volto quell’espressione un po’ beota – ingenua e disincantata, ispirata e ironica, divertita e compunta – che hanno i parenti e gli amici che Gianni Celati condusse e seguì su un pullman di colore azzurro, lungo la Strada provinciale delle Anime, nel 1991: quella di viaggiatori in casa propria. fp]

Ho conosciuto Gianni Celati, come autore, alla Bottega di narrazione. Giulio Mozzi mi consigliò di leggerlo per capire un po’ meglio la mia (e qualsiasi) scrittura. Non me ne innamorai, anzi. Le avventure di Guizzardi  mi sembrarono gravate di ideologia, la cosa che meno sopportavo. Lessi con più curiosità e piacere i racconti. Quando arrivai a Condizioni di luce sulla via Emilia, mi trovai davanti un capolavoro in venti pagine, fatto di minimi termini e di tanta metafisica e fascinazione letteraria da riuscire a sfamare chiunque. Con questo, non avevo appreso molto di più sulla mia scrittura, se non per differenza. Però avevo osservato il percorso fatto da quello scrittore un po’ strampalato, lo avevo trovato accidentato e difficile e questo non mi rassicurava sul cammino che mi stava davanti. L’incontro con Celati però non doveva finire qui. La Bottega di narrazione lo teneva davvero in speciale considerazione.

Toccò stavolta a Fiammetta Palpati di riaccostarmelo di nuovo. Nel corso il «Paesaggio del romanzo» sentii parlare di Luigi Ghirri, il grande fotografo italiano che negli anni  ’60 scoprì che si poteva guardare il paesaggio con gli occhi disincantati di un particolare tipo di modernità. Erano lenti, quelle di Ghirri, che dicevano la nudità di ciò che è spoglio, la trascuratezza dell’abbandonato, la desolazione della fabbrica svuotata e lo facevano senza vergogna, senza nostalgia, senza commiserazione. Il fotografo frequentava immagini quotidiane, ma le accompagnava con un’armonia sommessa che, da sola, sollevava quei frammenti del mondo appena un po’ al di sopra del piano d’appoggio. E con ciò li salvava. Per pochi istanti. Per uno sguardo. Ma li salvava. Dalla morte. Quei frammenti erano pure la materia dei film di Celati. Strada provinciale delle anime, scelto da Fiammetta, lo vidi coi compagni di corso al Cineforum del «Paesaggio del romanzo». Scherzammo, cogliendo giustamente quanto di buffo, di irrazionale, emergeva dalla storia. Eppure lì, con quelle immagini spezzettate, indeterminate, insensate, lo scrittore, lavorando come regista, era riuscito a mostrare più immediatamente il suo mondo: quello emotivo, fatto dei luoghi cari della pianura padana, e quello razionale, fatto di frammenti sparsi della realtà, che così gli sembrava dovesse davvero essere. Il frammento era la tessera che univa a colpo d’occhio Celati a Ghirri. Ma, insieme a esso, anche tutto quello che fa del frammento un frammento,  e quel fiume di cose (molteplici cose ciascuna racchiusa nel suo significato) che il confine del frammento trascina con sé. Una realtà scomposta e non ricucibile, perché tale da sempre, che proprio in queste tessere che non si riallacciano ha la sua cifra distintiva e il suo senso. Il senso della gita in pullman sulla strada provinciale delle anime.

È solo dopo questo secondo accostamento a Celati che ho cominciato a capire qualcosa di quello che lui aveva fatto. Anche se razionalmente c’ero già arrivata con la lettura consigliata da Giulio, è stato soltanto dopo aver visto Strada provinciale delle anime che Celati ha toccato le corde giuste del mio cuore, voglio dire di quell’impasto fenomenale di immaginazione, sentimento, razionalità che raccoglie il meglio della nostra vita e ci fa essere quel che siamo. Solo allora ho visto quanto forte fosse in lui il bisogno di esplorare, di tentare il nuovo, di andare alla ricerca, seguendo però sempre più il filo dell’espressione personale che era insieme scoperta del mondo, mondo umano e mondo di cose pareggiati nel loro valore e mai l’uno prevalente sull’altro. Solo allora mi è sembrato di intuire come deve aver cercato di pensare il mestiere di scrittore. Prima potevo ancora pensarlo come l’autore del bellissimo Condizioni di luce sulla via Emilia. Sarebbe stato ben poco. Forse Ghirri e le sue fotografie, immagini mai scolpite e sempre leggermente, molto leggermente, vibranti di partecipazione alle sorti del mondo, avevano suscitato in Celati un pathos, altrettanto leggero e trattenuto, ma comunque un sentimento di accomunamento al mondo, che trapela anche dai comici personaggi del film, risibili ma umani.

So bene che di Celati si possono dire tante altre e più importanti cose, e si diranno senz’altro da chi saprà farlo adeguatamente e con diversa cognizione. So che Gianni Celati è stato tanto di più di quello che si trova in questa paginetta. Per me, però, è indissolubilmente legato alla Bottega di narrazione, a Giulio Mozzi e Fiammetta Palpati e all’esperienza di scrittura con loro, che ho imparato a riconoscere come un’esperienza importante di conoscenza e di vita.

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