Roland Barthes, che accingendosi a ragionare e a scrivere sulla città e sui segni si definì un amatore di entrambi, ha scritto:
La città costituisce un discorso e questo discorso è una vera parola: la città parla ai suoi abitanti, parliamo la nostra città, la città dove ci troviamo, semplicemente abitandola, percorrendola, guardandola. Tuttavia il problema è di far uscire un’espressione come «linguaggio della città» dallo stato puramente metaforico. È molto facile, metaforicamente, parlare del linguaggio della città come si parla del linguaggio del cinema o del linguaggio dei fiori. Il vero salto scientifico sarà attuato quando si potrà parlare di linguaggio della città senza metafora.
Il laboratorio monografico «Il tracciato e la città» si propone come un percorso di scrittura creativa attraverso gli aspetti concreti, metaforici e psichici legati al grande e attualissimo tema della città [fp].
Per conoscere nel dettaglio il calendario e il programma del laboratorio consulta la pagina dedicata
[Pillole di paesaggio è la nuova rubrica che raccoglie brevi testi, introduttivi al ragionamento e alla pratica del paesaggio nella narrazione, e imperniati su una coppia di termini – talvolta delle vere e proprie antinomie, più spesso accostamenti frutto di nostre scelte, o del senso comune. Questa è la volta di «atmosfera» e «tono». fp]
Vi siete mai chiesti il colore, o il suono, la tonalità della vostra storia?
Per esempio, se state scrivendo un giallo, un rosa, siete orientati a un genere; già se pensate al noir state aggiungendo al genere qualcosa di più che è l’atmosfera. Una sorta di aura scura che avvolge la storia e che ne influenza lo sviluppo e gli esiti, o ne è influenzata. Ciò che determina l’atmosfera sono le condizioni di luce, di umidità, di temperatura, di pressione, di vento. Cosa hanno a che fare questi fattori ambientali con la scrittura? Ecco, questi elementi sono nel set, nell’ambientazione – o più propriamente nel modo in cui i personaggi vedono, sentono, il mondo che li circonda. Anche l’umore, lo stato d’animo, un sentimento fanno parte dell’atmosfera. Ma sono anche nella scrittura.
Esiste un certo tipo di commedia – soprattutto americana – definita brillante, dove la vicenda non solo è trattata con leggerezza e umorismo come ci si aspetta dal genere, ma anche con una “finitura” che riflette la luce. Questo è piuttosto intuibile nei film dove si può lavorare sulla fotografia (anche se coinvolge una serie vasta di scelte: dagli ambienti, agli abiti, ai filtri) sui ruoli e il carattere dei personaggi (nella tradizione l’attore brillante è un giovane che interpreta un ruolo vivace, spiritoso), sui dialoghi che sono appunto arguti, divertenti, e dal ritmo incalzante. Ma un racconto come fa a essere brillante? A riflettere luce vivida, cangiante? A essere limpido, a imporsi all’attenzione?
La propria immaginazione va letta come una fotografia, un brano musicale, una pietanza. La propria lingua deve poter rispecchiare anche la luce – netta, tagliente e chiusa quando vuole brillare – morbida, allungata, aperta quando vuole avvolgere, sfumare.
Il nostro prossimo laboratorio, il «Romanzo del paesaggio: Sublime contemporaneo», comincia a febbraio 2022. Il programma completo è qui e le iscrizioni sono aperte.
[A maggio inizierà il nuovo laboratorio dedicato alla dimensione sonora del paesaggio e alle sue potenzialità narrative. Il laboratorio è stato progettato e sarà condotto da Fiammetta Palpati, e da Manuel Cecchinato che in questo articolo ci introduce nel tema. f.p.]
Se pensiamo al fatto che viviamo da sempre dentro un luogo, dentro quello che abbiamo immaginato come paesaggio, come paese delle nostre vedute, come ambiente della nostra vita, non possiamo evitare di pensare che questo ambiente abbia una sua vita. Si tratta di una vita acustico-spaziale.
Vogliamo definirlo come “paesaggio sonoro”. Ma cosa è un paesaggio sonoro? Da una parte possiamo dire che corrisponde al concetto elaborato da Raymond Murray Schafer, compositore e musicologo canadese, negli anni ’70: si tratta di quello che chiamiamo “soundscape”, coniato ad hoc come calco di landscape, appunto “paesaggio sonoro”. Dall’altra parte possiamo dire con Henri-Frédéric Amiel che «un paesaggio qualsiasi è uno stato dell’anima, e chi legge nell’uno e nell’altra è meravigliato di trovare la similitudine di ogni particolare» (Diario intimo, 31.10.1852).
Ecco che una visione resta impigliata dentro un ascolto, o viceversa. Leggiamo in proposito cosa scrive M. Schafer:
L’ambiente che mi circonda mentre sto scrivendo è un paesaggio sonoro. Attraverso la finestra aperta posso sentire lo stormire delle foglie dei pioppi al vento. E giugno, le uova si sono schiuse, e l’aria è piena del canto degli uccellini. All’interno, il frigorifero si avvia di colpo con il suo mugolare stridulo. Io respiro profondamente, poi continuo a fumare la pipa, che alle mie boccate scoppietta sommessamente. La penna scorre agilmente sul foglio bianco, scricchiolando a tratti, e facendo click! quando aggiungo un punto a una i o al termine di una frase. Questo è il paesaggio sonoro di un placido pomeriggio nella mia casa di campagna. Provate a confrontarlo con il vostro paesaggio sonoro mentre state leggendo questi appunti. I paesaggi sonori del mondo sono incredibilmente vari, in diversi luoghi e in diverse culture, e cambiano con il passare dei giorni e il mutare delle stagioni.
Questa descrizione evoca delle sonorità e lo fa come scrittura. Ma come è che la scrittura evoca un paesaggio? E questo paesaggio può ri-suonare (una seconda volta) nella pagina scritta?
L’orizzonte visivo del mondo si sposta con noi: dipende dal nostro sguardo.