Tag: Alessandro Manzoni

Pillole di paesaggio/9 – Descrizione e immagine

Pillole di paesaggio/9 – Descrizione e immagine

di Fiammetta Palpati

[Pillole di paesaggio è la nuova rubrica che raccoglie brevi testi, introduttivi al ragionamento e alla pratica del paesaggio nella narrazione, e imperniati su una coppia di termini – talvolta delle vere e proprie antinomie, più spesso accostamenti frutto di nostre scelte, o del senso comune. Questa è la volta di «descrizione» e «immagine». fp]

Vi ricordate la vigna di Renzo? Siamo nel capitolo xxxiii dei «Promessi sposi» (quello che comincia con don Rodrigo che si scopre ammalato di peste); Renzo torna al paese, dà un’occhiata alla propria casa, e scopre che la sua piccola vigna è diventata una giungla:

«Viti, gelsi, frutti d’ogni sorte, tutto era stato strappato alla peggio, o tagliato al piede. […] Era una marmaglia d’ortiche, di felci, di logli, di e d’altrettali piante; di quelle, voglio dire, di cui il contadino d’ogni paese ha fatto una gran classe a modo suo, denominandole erbacce, o qualcosa di simile. Era un guazzabuglio di steli che facevano a soverchiarsi l’uno con l’altro nell’aria, o a passarsi avanti, strisciando sul terreno, a rubarsi insomma il posto per ogni verso; una confusione di foglie, di frutti, di cento colori, di cento forme, di cento grandezze: spighette, pannocchiette, ciocche, mazzetti, capolini bianchi, rossi, gialli, azzurri. […] Qui una quantità di vilucchioni arrampicati e avvoltati a’ nuovi rampolli d’un gelso, gli avevan tutti ricoperti delle loro foglie ciondoloni, e spenzolavano dalla cima di quelli le lor campanelle candide e molli; là una zucca selvatica, co’ suoi chicchi vermigli, s’era avvitacchiata ai nuovi tralci d’una vite…»

Nell’edizione originale del romanzo, quella del 1840, accanto a questa pagina sta l’incisione di Francesco Gonin. L’immagine fiancheggia la descrizione, la descrizione fiancheggia l’immagine. Lo scopo di descrizione e di immagine però è diverso. La descrizione vuole far sì che il lettore si avvicini all’oggetto e si soffermi, l’immagine glielo mette tutto sott’occhio; la descrizione è analitica, l’immagine è sintetica; la descrizione rallenta e quasi ferma il tempo della narrazione, l’immagine è un lampo.

I pericoli della descrizione li sappiamo tutti: già il poeta latino Orazio invitava a non rivestire di troppo virtuosismo lessicale e stilistico, di troppi panni fastosi e colorati (magari di costosissima porpora) ciò che il lettore deve vedere: paradossalmente certe descrizioni, tanto più vorrebbero esaurire l’immagine, tanto più rischiano di celarla alla vista.

Raccontare un paesaggio non significa riversare sul lettore (che è spesso abituato, lo sappiamo, a «saltare le descrizioni») miriadi di minimi dettagli. Significa mettergli sotto gli occhi i dettagli necessari affinché nella sua mente si formi, non istantaneamente ma neanche troppo lentamente, un’immagine: che poi resterà impressa nella memoria.

Il nostro prossimo laboratorio, il «Romanzo del paesaggio: Sublime contemporaneo», comincia a febbraio 2022. Il programma completo è qui e le iscrizioni sono aperte.

Esercizi per l’esplorazione del paesaggio, 12 / Sovrapposizioni, again

Esercizi per l’esplorazione del paesaggio, 12 / Sovrapposizioni, again

L’artista pop (quasi l’inventore del pop, si potrebbe dire) Andy Warhol produsse molte opere nelle quali usava, in diversi modi, oggetti o immagini già esistenti. I suoi famosi ritratti, infatti, da Sofia Loren a Mao Tse-Tung (o Zedong, come si usa scrivere oggi), non sono altro che fotografie solarizzate con colori applicati: e, trattandosi spesso di celebrità, e di fotografie a tutti note (nel caso di Mao, di immagini ufficiali), è inevitabile che la memoria del guardante vada non solo alla persona rappresentata, ma anche a quella specifica fotografia adoperata (o “trattata”, come certi dicono) dall’artista. I suoi quadri rappresentanti scatole di detersivi, barattoli di zuppa o bottiglie di bibita scura gassata non sono forse rappresentazioni di rappresentazioni, ma sono – scusate le parolacce – risignificazioni di oggetti già di per sé significanti.

Ma questa pratica non appartiene solo all’arte pop. La celebre descrizione della peste in Atene che si trova nelle Storie di Tucidide era ben presente (e si vede, e i filologi ci hanno speso sopra anni di fatiche, producendo ponderosi volumi) a Lucrezio quando scriveva il De rerum natura; non conosceva la seconda (i manoscritti furono ritrovati più tardi), ma la prima sì, Boccaccio quando scriveva il prologo del Decamerone; e Alessandro Manzoni, quando si cimentò anch’egli con la peste, le conosceva tutte; per tacere di Albert Camus…

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Esercizi per l’esplorazione del paesaggio, 10 / lineare, non-lineare

Esercizi per l’esplorazione del paesaggio, 10 / lineare, non-lineare

di Giulio Mozzi

Nel quarantesimo (e ultimo) capitolo del sesto libro di Vita e opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo, romanzo anti-romanzesco (se non addirittura a-romanzesco) di Laurence Sterne, il personaggio narrante (che è Tristram Shandy stesso) si ferma (cosa che fa spessissimo) a fare qualche considerazione. Shandy, che come narratore è un divagatore nato, ovvero non viene mai al punto (teoricamente il Vita e opinioni dovrebbe essere un’autobiografia: effettivamente a pagina uno Shandy narra, sia pure ellitticamente, il proprio concepimento; ma bisogna arrivare fino a metà romanzo circa perché egli accenni alla propria nascita; e dalla nascita poi in praticamente non ci fa sapere più nulla di sé), si compiace molto del proprio talento divagatorio, al punto da rappresentare la “forma”, o il “percorso”, decidete voi, compiuto nei primi quattro volumi e poi – dichiarandosi molto soddisfatto – nel quinto. Qui in alto vedete una fotografia della pagina in questione, dalla prima edizione dell’opera.

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