[Un paesaggio – o un’idea di paesaggio – accomuna un annuncio immobiliare a una poesia di Marianne Moore. Nel mezzo una scelta semiseria, in alcuni casi provocatoria, di testi molto vari per scopo, struttura e funzione: un manuale di giardinaggio e una delibera comunale, un racconto e una guida turistica, una canzone pop e un saggio filosofico, un libro di storia e un taccuino di viaggio.
Quello che vi propongo in questa rubrica è un tentativo giocoso di stressare un soggetto che nonostante la sua giovane età, o in virtù di essa, dimostra un certo appeal sia per la produzione artistica che per la riflessione teorica. Dieci esempi disparati ma accomunati dal fatto di raccontare direttamente o indirettamente, incidentalmente o con intenzione, uno dei luoghi comuni più affascinanti. Proseguiamo, dunque, con una guida turistica. Leggi tutta l’introduzione fp].
«Dal ponte di Narni ad Amelia strada abbastanza buona, piacevole ed interess. nel resto buonissima, ben tracciata, di particol. inter. panoramico (…) fino ad Orvieto. Cicli e motocicli passano il traghetto di Baschi (…) senza inconvenienti. Occorrendo vi è un altro traghetto (barca di Corbara), il cui accesso per strada a fondo naturale è possibile soltanto a cicli e motocicli. Volendo servirsene, un centinaio di metri prima del Ponte sul Tévere presso Baschi, si prosegue verso N attraversando l’ansa formata dal Tévere stesso di fronte alla confluenza del Paglia. Un Km. al di là è un traghetto del Tévere, quando non è in piena forte. La carrozz. si raggiunge poi mezzo Km. più a N del traghetto andando fin di fronte al paese di Corbara per mulattiera di un po’ più di 2 Km., che passa al Convento Pantanelli.
In una verde valle ricca di querce si raggiunge il sommo della lunga erta … di qui si corre con ondulazioni lievi, mentre l’occhio spazia a sin, SO, verso l’ampia depressione (press’a poco parallela alla direz. generale della strada) del Tévere, al di là della quale in distanza si alza il lungo dorso del Cimino … poco dopo a sin. di questo compare il largo cono caratterist. del Soratte … si lascia sulla sin il paesetto di Fòrnole … e tosto si ha davanti Amelia col Duomo in vetta e la sua gran torre. Il paesaggio ameno ha il carattere di altipiano ben coltivato a grani, vigneti, ulivi misti a fichi con casette di agricoltori sparse in campi cinti spesso da siepi ben tosate. Si lascia a sinistra un dossetto che si fa notare perché è l’unico arido e incolto in mezzo a tanto verde, con una cappella; poi a destra un rettilineo di ½ Km. che conduce all’Aspreta, bella villa e fattoria. Ad un tratto qui si presenta vicina Amelia, sopra un colle che cade sulle poche acque del Fosso Grande, sbarrate a formare una piscina detta Lago Vecchio. In alto la facciata del Duomo; sotto di esso giardini e spalti, poi la grande fascia di case della cittadetta. Tra una quadruplice fila di platani si giunge alla porta romana.»
(Guida d’Italia del Touring Club Italiano, Italia centrale. Terzo volume, territorio a ovest della linea ferroviaria Firenze-Arezzo-Perugia-Foligno-Terni-Roma, Milano 1923, p. 553-4)
La proposta per la seconda tappa di questa panoramica sulla scrittura con paesaggio è ancora una volta un testo che ha scopi pratici: per definizione una guida serve a orientare il lettore/viaggiatore nella scelta della mèta e, soprattutto, durante il viaggio. Deve accompagnarlo sulle strade e indirizzarlo nello sguardo verso ciò che è degno d’interesse; senza fargli perdere tempo, come farebbe un buon accompagnatore turistico (comunemente noto, appunto, come guida). Per quanto possa invitare all’indugio, al vagabondaggio, la guida fornisce un itinerario consigliato e informazioni sulle bellezze storico artistiche o naturalistiche, (tanto più dettagliate quanto maggiori saranno considerati i siti). Dal momento che il suo presupposto è di accompagnare e non sostituire il viaggio, più che descrivere un paesaggio – in senso stretto, cioè una porzione di territorio che si abbraccia con lo sguardo – una veduta per intenderci – la guida descrive i luoghi in itinire, consiglia scorci, angolature, panoramiche; o suggerisce dove posizionarsi, cioè consiglia il punto di vista. Una guida che aspiri alla completezza aggiunge poi dei consigli pratici (dove mangiare o dove farsi visitare, per esempio) nonché un accenno dello spirito del luogo.
Ma la guida – soprattutto se è una guida ben fatta – è anche il primo discorso pubblico sul luogo, la sua presentazione ufficiale, con la quale autoctoni e turisti tenderanno non solo a confrontarsi ma spesso proprio a conformarsi. La prima narrazione insomma. Alcune narrazioni rimangono incollate al luogo – al monumentum – insieme all’etichetta che le certifica patrimonio storico-artistico-naturalistico (e il massimo del riconoscimento per un sito, ai giorni nostri, è d’essere riconosciuto dall’Unesco come Patrimonio dell’umanità: una garanzia di preservazione); la loro ripetizione funziona un po’ come il discorsetto a memoria del cicerone: impedisce di vedere davvero. Quando le etichette invecchiano i luoghi si musealizzano.
Ora, il testo proposto in apertura è un estratto della prima Guida d’Italia dell’allora neonato Touring Club Italiano (pubblicata in 18 volumi, a cadenza semestrale a partire dal 1914 e proseguita in pieno regime fascista quando il nome dell’associazione fu italianizzato in Consociazione Turistica Italiana). Insomma: una vecchia guida. Una guida vecchia.

Il brano scelto è tratto dal terzo dei volumi dedicati all’Italia centrale, interessante ai miei occhi essendo quel tratto di strada che posso osservare dalla mia abitazione. Se è vero, infatti, che uno dei modi migliori per sentire i luoghi è de-localizzarsi (anche i propri – e non è un caso che la letteratura dei luoghi è spesso, anche, la letteratura degli esuli) un testo superato (da una redazione più recente, dai cambiamenti dei tracciati stradali, dei mezzi di trasporto, del costo delle tratte; dei paesaggi; persino dai mutamenti della lingua) offre, oltre alla de-localizzazione nello spazio – il viaggio – anche quella nel tempo. Di per sé la guida è già un testo che guarda il passato (cerca le tracce della storia passata – le vestigia tanto per assaporare i latinismi delle brochure di terzo ordine), ecco che la guida scaduta consente una duplice delocalizzazione (o duplice straniamento, se preferite): una vecchia guida mi parla al passato di cose che non c’erano già allora, e al presente di cose che possono non esserci più.
Veniamo alla nostra scelta. Si trattava di un nuovo tipo di testo che nasceva insieme al turismo (la forma di intrattenimento e svago culturale per la borghesia che, al principio del XX secolo, soppianterà in breve tempo le forme di viaggio precedenti – il pellegrinaggio, il gran tour, le villeggiature – per essere a sua volta soppiantata dal turismo di massa) e insieme al suo linguaggio: il linguaggio da guida turistica. È un linguaggio semi-tecnico, tendente alla precisione, all’esattezza, dotato di un lessico specifico assai ricco mutuato in parte dalla geografia, dall’urbanistica e dall’arte – in particolar modo dall’architettura – e per il restante autonomo: le abbreviazioni innanzitutto (il libro deve essere compatto e leggero da essere trasportato), poi le deissi (cioè tutte quelle espressioni che rimandano alla realtà extratestuale: da questo punto in poi, volgersi verso, eccetera), l’utilizzo di punti di riferimento fissi (punti cardinali, la morfologia del terreno), la compresenza di informazioni pratiche (non so: il prezzo del biglietto per il museo) con i contenuti artistici; un’aggettivazione essenziale che tende a precisare il sostantivo a cui fa da contraltare un’estrema varietà terminologica. Ancora in accordo con uno stile semplice e referenziale è l’uso moderato di figure retoriche, perlopiù a scopo esplicativo: la più frequente è il paragone utilizzato per rafforzare o sostituire il termine specifico attraverso forme più familiari. Alla ricchezza lessicale corrisponde quindi l’assoluta mancanza di enfasi e una sintassi piana: il ritmo può risultare un po’ monotono ma si deve considerare che il lettore è già abbastanza disorientato dal dover alzare e abbassare continuamente gli occhi dal libro. Altra caratteristica precipua della guida è la presenza di una sorta di recensione dei luoghi (non dimentichiamo che si tratta di orientare il lettore), per cui un sito può essere da non perdere, da visitare, bello, degno d’interesse o, semplicemente, da menzionare.
Quanto alle descrizioni, nelle guide per solito, ne esistono di due tipi: la prima è quelle degli elementi specifici (nel nostro esempio la città di Amelia, il viale con la quadruplice fila di platani, il rettilineo che conduce alla villa, eccetera) che, in certi casi si presenta come una vera e propria ekphrasis: una resa, attraverso il discorso, dell’opera d’arte e valida quindi anche in sua assenza. In altri casi di un commento descrittivo; cioè la descrizione è funzionale alle informazioni storico artistiche che si intendono fornire (per esempio la data di esecuzione, l’autore, il materiale, eccetera), e non sostituisce né nelle intenzioni dell’estensore, né nei fatti, la fruizione dell’opera in sé.
A tanta analiticità corrisponde, per contro, l’esigenza di una descrizione del paesaggio sintetica. Non necessariamente breve (nel nostro esempio non lo è), ma riassuntiva, sinottica. Lo dicevo sopra: non troviamo quel paesaggio, quella veduta, ma il tentativo – sempre molto faticoso – di rendere il paesaggio, che è fatto da tante immagini, elementi e porzioni di spazio anche molto diversi fra loro, i cui caratteri essenziali (un certo tipo di alberi, un modo di cintare i campi, il segno che lascia la strada, la portata di un corso d’acqua, eccetera) astratti dal particolare contesto in cui si trovano, ma considerati all’interno di quel determinato contesto (presi al di fuori ma considerati al di dentro) concorrono a formare, anche in termini di atmosfera. È un’operazione complessa. Provateci. Un paesaggio collinare è un paesaggio collinare. Gli elementi sono quelli e non sono infiniti; anche il lessico per quanto vasto, è finito. Se ci perdiamo nei particolari non riusciamo a costruire il quadro generale; se ci concentriamo su quest’ultimo perdiamo le singolarità. Eppure visitando un luogo noi conserviamo un’immagine mentale che è, e al tempo stesso non è, la somma di tutto quel che abbiamo visto, udito, sentito, vissuto. Questo essere e non essere rappresenta lo statuto ineffabile e ambiguo (perché particolare e generale) del paesaggio che lo consegna all’espressione artistica.
Ma l’estensore della guida che nel 1923 visita Amelia e le attribuisce l’aggettivo ameno (tanto efficace quanto impreciso perché si riferisce ad una sensazione che essa offre, non al suo essere in sé) fa tutt’altra cosa rispetto all’estensore dell’annuncio immobiliare dei giorni nostri (cfr l’esempio precedente) che definisce incantevole la posizione della casa che vuole vendere. Qui c’è un bisogno di trovare una carattere generale che definisca, là c’era un bisogno di espressività che muovesse all’emozione – e quindi convincesse alla visita se non all’acquisto – attraverso il topos.
Inoltre trovo che l’amenità, la gradevolezza data dal clima, dalla natura e dalla forma del terreno, dalle sue coltivazioni, dalla posizione degli insediamenti, eccetera, bene si attagli ad Amelia se, a distanza di quasi cento anni e a dispetto dell’urbanizzazione della campagna e del moltiplicarsi delle attività produttive che hanno stravolto un paesaggio puramente agricolo, esse sono ancora appropriate. Peraltro, attività produttive, oltre a quelle agricole, c’erano già nel 1923 – fornaci, mulini, officine – ma la guida non ne faceva menzione perché già allora, evidentemente, vigeva il principio che ci sono cose da vedere e altre da ignorare o di fronte alle quali chiudere gli occhi.
Una curiosità: ho cercato il punto in cui la provinciale Amerina (attuale Strada Statale 205) si interrompeva, presso Baschi, e, per attraversare il Tevere – quando non era in piena – si veniva caricati su un traghetto e poi si proseguiva su una mulattiera. Se non vado errato esso dovrebbe essere proprio nel punto in cui il Tevere descrive una grande ansa e si assottiglia, prima della confluenza con il Paglia. Insomma, proprio sotto il ponte dell’autostrada.
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