Un paesaggio – o un’idea di paesaggio – accomuna un annuncio immobiliare a una poesia di Marianne Moore. Nel mezzo una scelta semiseria, in alcuni casi provocatoria, di testi molto vari per scopo, struttura e funzione: un manuale di giardinaggio e una delibera comunale, un racconto e una guida turistica, una canzone pop e un saggio filosofico, un libro di storia e un taccuino di viaggio.
Quello che vi propongo in questa rubrica è un tentativo giocoso di stressare un soggetto che nonostante, o in virtù della sua giovane età (il paesaggio in senso stretto è un’acquisizione recente: una scoperta moderna che muove dalle arti figurative e trova un pieno riconoscimento soltanto nell’Ottocento), dimostra un notevole appeal sia per la produzione artistica che per la riflessione teorica.
Uno dei sintomi di questo notevole grado di eclettismo e penetrabilità che getta sul paesaggio l’ombra di una moda è dato dalla ragguardevole mole – peraltro in accrescimento – degli studi che esso sollecita: una bibliografia che accoglie contributi piuttosto disparati – da quelli più propri e tradizionali della geografia e dell’ecologia, a quelli apparentemente più distanti come gli studi sul suono (passando – magari – per l’arte dei giardini, o il giardinaggio tout court).
Ma il paesaggio è anche, e forse soprattutto, un termine che ricorre nella lingua comune, usato per designare quella che nella quotidianità viene avvertita come esperienza estetica di natura. I social network – per dire – rigurgitano di vassoi di affettati, ma anche di immagini etichettate come paesaggi: si pubblica l’inquadratura del laghetto dalla quale si sono opportunamente tagliati fuori i bidoni della spazzatura dello chalet, o, più finemente, la linea del cielo definita dai caseggiati delle periferie urbane. Lo troviamo nella didascalia della cartolina da collezionare, sul manifesto del comizio per il Parco Urbano, sulla locandina della mostra dilettantistica di acquarelli, nella pubblicità della maratona eno-gastronomica e nella delibera con cui l’amministrazione municipale autorizza l’abbattimento di un edificio incongruo – a dimostrazione del fatto che si tratta di un universale avvertito soprattutto a livello locale. Per altri versi ci richiamiamo al paesaggio per descrivere uno stato d’animo, un’esperienza intima, personale; o persino una costellazione di testi o di opere capace di formare, appunto, un mindscape – l’efficace neologismo inglese non del tutto traducibile con il nostro “paesaggio mentale”.
A dimostrazione della versatilità, e dell’ambiguità, di un tema tanto affascinate quanto sfuggente, eccovi questo breve giro in dieci tappe (dove il numero dieci è, naturalmente, convenzionale) in cui cercherò di saggiare la capacità camaleontica del soggetto paesaggio di spostarsi con disinvoltura da un estremo all’altro, perdendo e guadagnando ogni volta in identità, e comportandosi come un vero e proprio universale tematico: una sorta di riflesso dei fenomeni psichici, culturali e sociali che in esso convergono.
Dieci testi che nascono con finalità piuttosto disparate – da quelle commerciali a quelle artistiche – e ordinati in maniera crescente rispetto alla convenzionalità del linguaggio e della rappresentazione: alle rappresentazioni più stereotipate corrisponde infatti anche un alto grado di figuratività della lingua, soprattutto figure dell’enfasi (a dimostrazione del celebre detto di Du Marsais secondo il quale si farebbero più metafore in un giorno di mercato che in una settimana di consesso accademico); mentre negli ultimi testi – in particolare nell’esempio narrativo e in quello poetico – si trova, com’è naturale, quasi una rifondazione dello sguardo e della lingua in cui all’acutezza dell’osservazione del reale corrispondono, da una parte precisione ed espansione del lessico, e dall’altra quelle nuove attribuzioni di senso capaci di azzerare i rischi di posa paesaggistica.
Dieci esempi disparati ma accomunati dal fatto di raccontare direttamente o indirettamente, incidentalmente o con intenzione, un paesaggio o un’idea di paesaggio.
Il paesaggio “punge e trapunge”, piglia e impiglia. Alle volte curato al parossismo, può comunque mostrare le sue contraddizioni. Dovute a scelte scellerate. Umane, naturalmente.
Oltre che alle possibilità narrative sul paesaggio, sono incuriosita da quanto possa il paesaggio stesso narrare, di sè, di noi, muto, ma così espressivo.
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