di Giulio Mozzi
Uno dei testi più fascinosi, noiosi e imbarazzanti prodotto da Georges Perec si trova nel piccolo libro (pubblicato postumo, è una raccolta di cose varie) L’infra-ordinaire (Seuil 1989; in Italia uscì come L’infra-ordinario nel 1994 presso Bollati Boringhieri, ma è da tempo fuori catalogo: peccato) e s’intitola: 243 cartes postales en couleurs véritables. Non mi ricordo come traducesse l’edizione italiana, ma il significato è: 243 cartoline in colori autentici. Perché colori autentici? (véritables). Perché negli anni Settanta, evidentemente, quando il testo fu scritto, restava ancora memoria (o forse esistevano ancora) delle cartoline a colori non autentici, ossia prodotte con fotografie in bianco e nero colorate in fase di stampa (se siete giovani e non capite, non preoccupatevi: erano affascinanti, e orribili).
Le cartoline illustrate, vi piaccia o no, costituiscono un genere letterario. Nel momento in cui (se lo fate ancora) vi sedete al tavolino del bar e tirate fuori le cartoline destinate a nonno, nonna, zia, cuginette, maestra delle elementari diventata ormai decrepita, amici che sapete in vacanza in luoghi forse più forse meno ameni di quello in cui siete voi – eccetera, le regole di questo genere letterario subito si affacciano alla vostra mente. Come il buon giornalista, nel momento in cui si siede a scrivere un pezzo di cronaca, senza nemmeno stare a pensarci su attacca subito con le celebri “5 W” del giornalismo inglese (Quis, quid, ubi, quibus auxiliis, cur, quomodo?), così – secondo Perec e i suoi terribili amichetti dell’Oulipo, che ci ragionarono in una qualche serata presumibilmente alcolica – una buona cartolina di saluti dalle vacanze non può non contenere questi cinque punti: “localisation, considérations, satisfactions, mentions, salutations“; ovvero non può non rispondere alle domande: dove siamo? Che aria tira? Cosa c’è di bello? Una cosa in particolare?, e poi chiudere con i saluti.
Due più o meno a caso:
Un petit mot d’Urbino. Il fait beau. Viva les scampi fritti et les fritto misto! Sans oublier Giotto et tutti quanti. Amicales pensées. (Un saluto da Urbino. Bel tempo. Viva gli scampi fritti e il fritto misto! Senza dimenticare Giotto e tutti quanti. VI pensiamo caramente).
On est à l’hôtel “Les Jonquilles”. Temps merveilleux. On va à la plage. Avons fait la connaissance avec tout plein de gens charmants. On vous embrasse. (Siamo all’albergo “Les Jonquilles”- Le giunchiglie. Tempo splendido. Andiamo in spiaggia. Abbiamo conosciuto un sacco di bella gente. Vi abbracciamo).
Scorrendo il testo – che è, come ho detto, insieme affascinante e noiosissimo, e quindi imbarazzante – ci si rende conto presto della logica combinatoria qui applicata – come in molte altre sue opere – da Perec: se volete approfondire, e scoprire quindi perché le cartoline sono 243 e non 242 o 244, potete leggere qui (è in francese). Ma, come sempre con le opere di Perec, il meccanismo combinatorio non è particolarmente interessante per il lettore (basterà sapere che 243 è la quinta potenza di 3), mentre è interessante il risultato. Leggere le 243 cartoline, tutte di fila, è fare un’esperienza intensiva di linguaggio vuoto. Di quel linguaggio che adoperiamo in tante occasioni (la maggior parte, forse) della nostra vita, e che nella compilazione delle cartoline illustrate viene fissato e reso visibile.
Ma dunque: quando osserviamo un paesaggio, lo attraversiamo, lo viviamo – e cerchiamo di restituire in parole la nostra esperienza, di quali generi letterari ci serviamo? O: quali generi letterari si servono di noi? (come accade quando svagatamente o svogliatamente compiliamo cartoline su cartoline, il giorno della partenza, con le valigie già chiuse, mentre facciamo l’ultima colazione delle nostre vacanze). In che modo e misura la nostra stessa percezione del paesaggio è determinata dalle regole del genere letterario attraverso il quale del paesaggio parliamo?
La cartolina su in alto viene da qui.