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Pillole di paesaggio/8 – Simboli e oggetti correlati

Pillole di paesaggio/8 – Simboli e oggetti correlati

di Fiammetta Palpati

[Pillole di paesaggio è la nuova rubrica che raccoglie brevi testi, introduttivi al ragionamento e alla pratica del paesaggio nella narrazione, e imperniati su una coppia di termini – talvolta delle vere e proprie antinomie, più spesso accostamenti frutto di nostre scelte, o del senso comune. Questa è la volta di «simbolo» e «oggetto correlato». fp]

Nell’antica Grecia due persone che stringevano un patto spezzavano un oggetto di terracotta. Ciascuno conservava una delle parti, inevitabilmente diseguali ma combacianti lungo la linea di frattura, a riprova dell’esistenza dell’accordo. Questa consuetudine, e l’oggetto che veniva spezzato, sono all’origine della parola simbolo: due che fanno uno. Uno fatto da due. Basta fare una passeggiata per incappare in oggetti (ma anche animali, luoghi, gesti, colori, eccetera) che richiamano idee, valori, molto distanti (e anche per nulla somiglianti).

«Un caminetto», si dice, «fa sempre famiglia». In effetti il caminetto ― un fuoco acceso in un ambiente domestico, atto a scaldare, cuocere, illuminare ―  «mette assieme» oltre alla concretezza e alla funzionalità, la protezione che deriva delle mura domestiche, del calore, del cibo; e dunque l’idea di famiglia e, per estensione, di quella di amore come appartenenza.  Il caminetto è dunque un «simbolo» (anche amministrativo: una volta le tasse non erano addebitate alle persone, ma ai «focolari»). Cogliamo il valore simbolico del focolare poiché l’esperienza che ne è alla base fa parte della nostra civiltà, è un patrimonio comune, se non universale.

Ma ci sono simboli, diciamo così, «condivisi», e simboli «privati». Può capitarci di stabilire, in maniera spontanea o volontaria, delle relazioni precise tra oggetti, luoghi, eventi ― e contenuti personali: stati d’animo, sentimenti, reminiscenze. Lo facciamo fin da bambini: pensate a Linus che non sa staccarsi dalla sua coperta: che è calore, protezione, casa, mamma.

Certi pezzi del mondo esterno diventano così simboli di certi altri pezzi del mondo interno, quello che solo è nostro. E può accadere che le storie si affaccino alla nostra coscienza attraverso immagini di oggetti, luoghi, paesaggi, che noi crediamo siano davvero certi oggetti, luoghi, paesaggi, ma in realtà sono  portatori, quasi messaggeri del nostro mondo interiore. Le immagini, si dice, sono «correlativi oggettivi» di «cose» che stanno dentro di noi.

 Scoprire come creiamo le immagini ― cioè come stabiliamo correlazioni tra contenuti interni e oggetti esterni ― equivale a scoprire come funziona la nostra creatività.

Il nostro prossimo laboratorio, il «Romanzo del paesaggio: Sublime contemporaneo», comincia a febbraio 2022. Il programma completo è qui e le iscrizioni sono aperte.

Esercizi per l’esplorazione del paesaggio, 8 / Sorprendere

Esercizi per l’esplorazione del paesaggio, 8 / Sorprendere

di Giulio Mozzi

Sezionare un immaginario italiano è molto più difficile rispetto a quello di altri paesi, come gli Stati Uniti. L’immaginario visivo del Novecento è, nel nostro paese, composto da immagini che derivano dalle fotografie degli Alinari, dai sussidiari, dalle cartoline illustrate, dai libri del Touring Club e da mille altri luoghi. Sono cataste di immagini. Ogni fotografo vede l’Italia attraverso questa infinita miriade di immagini. Questo tende a costruire quello che definirei il “luogo comune”. Questo “luogo comune” è la piazza di San Pietro con il porticato, la cupola, magari un prete che la attraversa. Il problema è quello di vedere attraverso tutte le immagini precedenti quel luogo e nel contempo di cancellarle per avere una propria “prima visione” di piazza San Pietro.

Così il fotogafo Luigi Ghirri, in una conversazione con Marco Belpoliti, avvenuta nei giorni della mostra Viaggio in Italia (1984) e ripubblicata pochi giorni fa in Doppiozero. Che di nuovo ci riporta al tema sul quale, in questi esercizi, stiamo insistendo: il “paesaggio” non è, o almeno non è solo, una cosa che c’è: è anche, o forse soprattutto, una nostra costruzione.

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